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Le uova colorate di Drenchia

A noi di Drenchia, da piccoli, regalavano le pierhe per Pasqua. Pierha – altrove detta anche pirh – era l’antenato dell’odierno uovo di Pasqua. Era fatto di …uovo.

Era un uovo. Un semplice uovo di gallina.

Nella estrema semplicità della nostra vita, le uova erano parte del quotidiano ma l’uovo pasquale cui la memoria torna con affetto, era ben più che un comune alimento: era il frutto di pensieri premurosi, affettuosi e amorosi, oltre che un segno di tradizione e continuità.

A Oznebrida, stranamente, era una signora senza figli a preparare le pierhe per tutti i bambini del paese. A lei portavamo le uova in anticipo e lei le tingeva con bucce di cipolla poi, pazientemente, le decorava.

L’attesa era lunga ma, quando offriva il “lavoro” finito era pura felicità.

Quello che ci trovavamo in mano non aveva più nulla dell’uovo di gallina se non la forma.

Tutta la superficie color mattone scuro era ricoperta di greche, ghirlande, animaletti e simboli pasquali.

Lo rigiravamo fra le mani infinite volte per leggere ogni figura e sfioravamo con i polpastrelli le linee più chiare scalfite con infinita cautela, a creare quel piccolo miracolo. Infatti, il fragile uovo era stato “graffiato” con una punta affilata – una forbice, un coltellino – e i disegni risaltavano per contrasto, avendo asportato la superficie tinta e fatto emergere il colore originario della buccia.

Altri simboli ed altri significati per le pierhe dei più grandicelli: se ai consueti disegni pasquali si aggiungevano due cuori affiancati con le iniziali dell’amato e dell’amata e magari anche due colombi esplicitamente tubanti, l’ovetto di Pasqua diventava un’efficace “Valentina” che gli innamorati si scambiavano.