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Tradizioni durante il corso dell’anno

Le tradizioni coinvolgono tutti, grandi e bambini e a questi ultimi è riservato un ruolo non indifferente. Messe in fila, anno dopo anno, costituiscono la trama cui la nostra vita è rimasta intrecciata.

Gennaio

Koleda e auguri

Il primo giorno dell’anno si scambiano gli auguri per l’anno nuovo con ogni persona che si incontra, nessuno escluso e ciò si ripete anche nei giorni successivi.

Da una stretta di mano all’abbraccio con scambio di baci, a seconda della confidenza, e immancabile scambio degli auguri: “Srečno nove lieto” “Buog vam dej srecjo!”.

Era ritenuto di buon auspicio per l’intero anno l’incontro con persona di sesso maschile, ragione per la quale invalse l’uso di distribuire mance – koleda – relativamente consistenti ai maschietti che, non a caso, si presentavano all’uscio a fare gli auguri.

Con l’affievolirsi della superstizione la mancia venne distribuita anche alle femminucce, quantomeno nel contesto familiare, ma a queste si sconsigliava comunque di uscire nelle prime ore del mattino di capodanno.

A scaldare le lunghe notti invernali c’era il fuoco della stufa a legna attorno alla quale ci si radunava e ognuno aveva una storia da raccontare, spesso di fantasmi e di cose inspiegabili che poi tenevano svegli a lungo, noi bambini.

O i racconti di fatti straordinari, di abitudini e credenze di genti lontane.

Il fruscio della neve calpestata preannunciava la visita serale di un vicino e non di rado l’intenso profumo di vin brûlé, fatto con il fragolino o col Klintodi casa, zuccherati, accompagnava e rallegrava i racconti.

Tradizioni durante il corso dell'anno

Febbraio

S. Agnese

Crai di Drenchia, un paesino incuneato fra due crinali, per lunga parte dell’inverno rimane all’ombra.

Altrove, nei prati ancor brulli, già spuntano primule e crochi, quando a Crai i cumuli di neve si conservano fino a primavera e le strade restano ghiacciate finché il sole, appunto, non ritorna a scaldare anche quell’angolo.

Ciò non avviene prima del 21 febbraio quando il sole comincia a risalire la china quel tanto che basta a sfiorare con i tiepidissimi raggi la prima casa del paese.

È il caso di festeggiare la santa che ogni anno opera il miracolo! Su un carro –burela– trainato da un asino, arrivavano una volta gli ambulanti con i giochi per i piccoli; poi all’asino si sostituì un mulo e sul carro arrivavano i giovani dei paesi vicini in cerca di festa.

Nei pressi della cappella votiva veniva celebrata la Santa Messa, dopodiché tutti si sparpagliavano per le case del paese per recuperare tepore e “sostentamento” e gli abitanti di Crai erano ben preparati ad accoglierli.

Era una bella occasione per rivedere gente perchè il freddo dell’inverno costringeva a stare in casa.

Una festa semplice all’insegna dell’accoglienza, coraggiosamente riproposta in questi ultimi anni.

Tradizioni durante il corso dell'anno

Febbraio / Marzo

Pust, debelinca

Carnevale era festa per soli adulti, una volta.

I bambini aspettavano l’arrivo delle maschere in un misto di attesa e timore perché i rituali erano, appunto, a misura di adulto.

Le maschere più comuni, accompagnate dall’immancabile fisarmonica, erano il diavolo, la vecchiaccia, gli sposi, il castratore con l’enorme attrezzo con il quale cercava di terrorizzare i paesani, contadini grotteschi variamente equipaggiati di gerle e attrezzi vari.

I travestimenti erano semplici e la comicità accentuata dal fatto che spesso i maschi vestivano abiti femminili e viceversa.

Le “bande” giravano i paesi portando grande trambusto, allegria di canti e musica.

La gente del paese offriva loro uova, salame e salsicce e, naturalmente, da bere; assisteva e partecipava agli scherzi e alla fine li vedeva ripartire alla volta del paese successivo.

Ai nostri giorni, mancando giovani disposti a mascherarsi e a sostenere l’impegnativo giro dei paesi, le maschere arrivano da altri luoghi vicini e lontani e si portano appresso, con la consueta allegria, sfumature diverse di una tradizione comune.

Tradizioni durante il corso dell'anno

Marzo / Aprile

Pierhe

Quando eravamo piccoli ci regalavano le pierhe per Pasqua.

Pierha era l’antenato dell’odierno uovo di Pasqua.

Era un uovo.

Un semplice uovo di gallina.

Nella estrema semplicità della nostra vita, le uova erano parte del quotidiano ma l’uovo pasquale cui la memoria torna con affetto, era ben più che un comune alimento: era il frutto di pensieri premurosi, affettuosi e amorosi, oltre che un segno di tradizione e continuità.

Quello che ci trovavamo in mano non aveva più nulla dell’uovo di gallina se non la forma.

Tutta la superficie color mattone scuro – se era stato tinto con buccia di cipolla, ma poteva anche essere verde di erbe – era ricoperta di greche, ghirlande, animaletti e simboli pasquali.

Lo rigiravamo fra le mani infinite volte per leggere ogni figura e sfioravamo con i polpastrelli le linee più chiare scalfite con infinita cautela, a creare quel piccolo miracolo.

Infatti, il fragile uovo era stato “graffiato” con una punta affilata – una forbice, un coltellino – e i disegni risaltavano per contrasto, avendo asportato la superficie tinta e fatto emergere il colore originario della buccia.

Era fantastico, unico ed esclusivo.

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S. Pasqua

Benedizione del pane, dell’acqua e del fuoco – Žegnanca e Šnite

Quando le nostre case erano piene di gente, la cerimonia della enedizione del pane avveniva in ogni paese.

A una data ora di un dato giorno ci si riuniva in una casa con i cesti colmi e si aspettava l’arrivo del parroco che faceva il giro di tutto il comune.

Ora avviene che al pomeriggio del sabato santo, durante la cerimonia religiosa che si svolge in chiesa, senza campane perché in segno di lutto si agitano le stergotalce, il sacerdote benedice l’acqua per la fonte battesimale, il fuoco e anche i prodotti della terra – cesti ricolmi di pane dolce all’uovo –žegnanca-, farine, uova, mele e altro ancora.

Davanti alla chiesa vengono accesi il cero pasquale e un fuocherello con rami d’ulivo: a questa modesta pira benedetta si attinge con funghi legnosi che, bruciando piano senza fiamma, danno modo di portare quel fuoco fino a casa.

Occorre agitarli, però, in continuazione, per tenerli ossigenati.

La mattina di Pasqua si fa colazione con la žegnanca, dopo una breve preghiera, ma il vero dolce pasquale sono le šnite: mentre il burro fonde in una larga padella, alcune fette di pane raffermo vengono velocemente passate nel latte e nell’uovo sbattuto e, così grondanti, si mettono a friggere.

Rigirate velocemente finché non diventano dorate, vengono spolverizzate di zucchero appena tolte dalla frittura.

Si mangiano subito, fragranti e croccanti.

Maggio

Vičerinca

Tutte le sere, a maggio, ci si ritrovava in cappella a recitare il S. Rosario.

I lavori nei campi erano già avanzati e nell’aria c’era già più che un presagio di estate.

Il piccolo e modesto altare veniva abbellito dei fiori più belli che sbocciavano in quel mese.

Grandi mazzi di mughetti venivano raccolti appositamente in luoghi lontani, così come i narcisi; ma anche profumatissime rose rosso scuro che lasciavano cadere mucchietti di petali sul bianco immacolato del telo che copriva l’altare.

Il profumo dei fiori, esaltato dai raggi del sole calante che inondavano la minuscola chiesetta, era penetrante e avvolgeva ogni cosa.

Dopo il Rosario, tra fumi d’incenso, veniva impartita la benedizione e la funzione si concludeva con canti a piena voce.

Tradizioni durante il corso dell'anno

Majinca

In occasione della Pentecoste si organizza il consueto pellegrinaggio a Castelmonte.

Tutta la comunità si reca al Santuario per la Confessione e la Comunione pasquali.

Un tempo si faceva a piedi, invece ai giorni nostri la salita a piedi, al seguito della croce, parte dal piazzale di arrivo delle corriere e finisce ai piedi della Madonna di Castelmonte.

Dicono che in epoche lontane il pellegrinaggio abbia risolto qualche problema di siccità e una epidemia nefasta.

Sta di fatto che la devozione è ancora viva, la S. Messa è dedicata e la cantano i pellegrini giunti dalle Valli.

Immancabile poi la colazione al sacco con gubanca, štrukilcj, buon vino e, a finire, i nostri canti religiosi e non solo quelli.

Tradizioni durante il corso dell'anno

Giugno

S. Giovanni – Kries

Una volta ogni piccolo appezzamento era intensamente coltivato, i prati falciati e i boschi puliti.

Non c’erano campi incolti o trascurati e gli sterpi caduti, raccolti nei prati e nel sottobosco e inadatti a far fuoco per l’inverno, venivano ridotti in fascine e ammassati su un cucuzzolo.

Ogni paese aveva un luogo prestabilito dove ammassare la sterpaglia.

Inoltre, con l’avvicinarsi della festa di S. Giovanni ogni porta veniva decorata con i fiori.

Con leggere varianti di paese in paese, le forme principali erano le ghirlande (corolle a colori alternati infilate su un filo) o mazzetti legati a formare una croce.

Felce, asparago di monte e soprattutto margherite bianche e gialle, i fiori più usati.

In questo giorno, disponendo all’aria biancheria della casa e abbigliamento, si aveva la certezza che rimanessero inattaccabili alle tarme.

All’imbrunire del 23 giugno, San Giovanni, gli abitanti di ogni paese si riunivano attorno al cumulo cui veniva dato fuoco.

Il falò –kries– risplendeva nella sera e le fiamme, crepitando, si levavano alte nel cielo disperdendo scintille che risalivano danzando, per poi ridiscendere e spegnersi, prima ancora di toccare terra.

Nel frattempo altri fuochi venivano accesi su ogni altura visibile fra le grida dei bambini, finché il profilo dei nostri monti non era costellato di magici fuochi.

E magica era la notte con misteri e riti indicibili legati a faccende di cuore, di giovinezza, innocenza e immancabile superstizione.

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Agosto

Scampanatori

Prima di ferragosto, verso sera, dalla chiesa si diffonde uno scampanio argentino che preannuncia la festa.

Dilaga per i campi, arriva in tutti i paesi e la gente esce di casa per ascoltare.

Gli scampanatori sono orgogliosi della loro perizia, ereditata dai grandi.

Quelle campane a festa si sentono solo da noi.

E quando lo scampanio “attacca” è sempre una sorpresa col suo ritmo incalzante, alternato, che s’intreccia al respiro.

Gli scampanatori sono rimasti gli stessi di un tempo ma ogni anno di meno e sempre, e ancora, alla ricerca di giovani cui tramandare la passione e l’orgoglio di essere gli esecutori di una colonna sonora che è sinonimo di festa.

Cosa sarebbe Rožinca senza di loro? Un film muto.

Kobilja glava cerca di incoraggiare i giovani a rilevare questa passione dagli esecutori storici e organizza, dal 2007, mini-corsi pratici in prossimità della grande festa di Rožinca.

Dolce immancabile sulla tavola di Ferragosto è la gubanca, possibilmente fatta in casa. Un dolce impegnativo che non si fa tutti i giorni e proprio per questo, per il concetto di festa e gioiosa aspettativa che comporta, accompagna le nostre tappe più importanti come matrimoni e nascite e ogni inconsueta riunione familiare.

L’associazione Kobilja Glava ha cominciato a rilanciare la ricetta tradizionale di Drenchia e l’interesse suscitato è stato molto grande.

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Snopici

Il giorno di ferragosto, festa di S. Maria Assunta – da noi si chiama Rožinca, cioè Madonna dei fiori – si portano in chiesa mazzi di fiori particolari che il sacerdote benedice e si riportano a casa, per conservarli fino all’anno dopo.

I fiori sono piccoli o piccolissimi ma traggono forza e bellezza dal numero, raggruppati in fitte ombrelle o diffusi sul rametto.

Vere e proprie miniature che, perlopiù, passano inosservate.

Per tradizione, nell’imminenza di calamità dovrebbero essere bruciati perché il fumo allontani il maligno.

La composizione del mazzolin di fiori non è casuale: segue un’antica tradizione diffusa, con piccole varianti, in tutte le nostre vallate.

Molte di queste piante hanno proprietà medicinali e venivano usate per lenire infiammazioni, distorsioni, curare piccole ferite o scottature.

Il loro numero, quale che sia, è magico e contiene valenze scaramantiche che si perdono nella notte dei tempi.

Da diversi anni la nostra associazione ne cura la raccolta e i mazzi vengono esposti sul sagrato per i fedeli che ne fossero sprovvisti.

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Novembre

Commemorazione dei defunti e tradizionale raccolta del pane chiamato priešci

La morte è una tappa inevitabile della vita e in un contesto rurale conservava la naturalezza di un evento scontato, ancorché doloroso o dolorosissimo, se prematuro.

La famiglia del defunto, dopo le esequie, distribuiva ai congiunti una pagnotta in memoria del familiare e, in prossimità del giorno dei defunti, a ricordo di tutti i morti della famiglia, veniva distribuito altro pane a gruppi di bambini che passavano di paese in paese, di casa in casa, a recitare le preghiere dei morti.

Si partiva all’alba muniti di un sacchetto bianco (di solito era quello usato per la farina oppure una federa candida) e si cominciava il giro.

All’entrata in paese ci si informava su “Kje dajejo priešce?”/”Chi è che da” e si faceva un rapido censimento dei parenti, più generosi con i congiunti.

Si bussava e si entrava di getto, ci si inginocchiava tutti in mezzo alla stanza, si recitavano più in fretta possibile un pater-ave-eterno-riposo e su in piedi con i sacchetti già aperti in mano, a ricevere il panino.

Il tempo per rispondere alla padrona di casa, che non mancava di chiedere: “Duo s pa ti?”/”E tu chi sei?” e via di corsa in un’altra casa che “dava”.

Tradizioni durante il corso dell'anno

Dicembre

S. Nicolò, S. Natale e Štrukli e Devetica

Inutile parlare delle aspettative con cui mettevamo il piatto sul davanzale perché Svet Miklauž (S. Nicolò) ci portasse i doni il 6 dicembre o del timore di ritrovarlo vuoto al mattino.

Nessuno lo ha dimenticato.

Così come la gioia e la meraviglia di vederlo miracolosamente colmo, al mattino.

Non importava di che cosa, purché ci fosse.

Noci e noccioline, qualche mela rossa, dei grappoli d’uva dai maki (rami di vite con grappoli) appesi a seccare in solaio, qualche caramella, a volte dei torroncini e un’arancia, qualche profumato mandarino, dei biscotti.

La stessa ansia e la stessa sorpresa dei bambini di oggi davanti a montagne di costosi giocattoli portati da Gesù Bambino.

In alcune case si addobbava l’albero di Natale.

Le palline di vetro erano rare e si sopperiva con quel che c’era.

I doni di Svet Miklauž cadevano a fagiolo e sui rami dell’abete – piazzato quasi sempre al centro del tavolo dell’izba gelata che d’inverno non si usava – si appendevano caramelle, biscotti, mandarini, torroncini e quel che si aveva.

Fiocchetti di cotone idrofilo sparsi con parsimonia fungevano da neve come qualche raro filo d’argento, costato un patrimonio.

Ancor più raro era il Presepe.

Ma ne avevamo visto uno all’asilo.

Poche figure, due pecorelle, ed era fatta.

Su una distesa di muschio le statuine cercavano di raggiungere la grotta per sentierini di sabbia grossolana, Le figure erano malconce, sbiadite, alcune monche ma nessuno lo vedeva.

Restavamo impalati, gli occhi sgranati su quel mondo in miniatura così simile al nostro perfino nel profumo di bosco, con i ruscelli di cenere, i lustrini, mai visti prima, della cometa di cartone e la riproduzione della natività.

Tutto come ci eravamo immaginato a sentire parlare di angeli e di Gesù Bambino, ridotto alla nostra portata e fantasticamente “vero”.

È degli ultimi anni la ripresa della tradizionale novena di Natale – Devetica – con l’immagine della Madonna portata in processione dai fedeli di casa in casa, accompagnata da canti e rituali antichi e ospitata a turno, per un giorno e una notte, per nove volte, nelle case del paese.

La vigilia di Natale si preparano Gli Štrukli, grossi ravioli dolci col ripieno simile a quello delle gubance.

Rientri infreddolito dalla messa di Mezzanotte e sai che ti aspettano, appena fatti e ancora bollenti!

O scaldati alla piastra, il giorno dopo, quando fuori fa freddo e magari c’è la neve, quella bagnata.

Il ripieno dolce che ricorda le gubance e quindi l’estate, ti compensa del freddo, degli alberi spogli e dei piedi gelati nelle scarpe fradice.

Tradizioni durante il corso dell'anno

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