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Memorie indelebili

Cucina frugale a “zero Kilometri” e non per scelta

Si comperavano sale e zucchero, usati con parsimonia, il resto era prodotto in casa.

Terra, bosco, stalla e animali da cortile erano i nostri fornitori – l’esperienza bilanciava consumi e approvvigionamenti, semine e conserve – e tutto il resto era superfluo o di riguardo per ospiti, neonati o anziani e malati.

Il caffè era per l’ospite, tutt’al più se ne aggiungeva qualche chicco all’orzo tostato nell’apposito attrezzo, nero come la fuliggine.

Per condire, burro o grasso di maiale, presto smaltiti col duro lavoro all’aperto, raramente l’olio, comprato sfuso; la pasta, come il riso, si compravano ogni tanto.

Fagioli e uova e non carne, se non pollo o coniglio e solo nelle occasioni.

Frutta necessariamente di stagione e, per l’inverno, noci, crauti, rape, castagne.

La farina per polenta si procurava in pianura con lo scambio di patate o castagne.

La stanza più a nord o una cantina, parzialmente interrate, facevano da dispensa e frigorifero.

Chi reclama uno sviluppo sostenibile, una “decrescita felice” e una alimentazione sana ed eticamente corretta, a “Kilometri zero”, si direbbe abbia preso ad esempio questo stile di vita che, sinonimo di stenti e ristrettezze, è stato invece da tutti prontamente abbandonato non appena due soldi in tasca hanno fatto sparire i libretti di acquisto a credito e il seme del consumismo ha affondato in noi, senza incontrare ostacoli, la sua tenace radice.