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L’insostenibile nostalgia del burro

Rincorriamo i sapori d’un tempo come facciamo con i ricordi ma non c’è niente da fare: il purè di patate seminate, cresciute e cavate da noi, lessate vestite, poi sbucciate, schiacciate e condite col burro della nostra mucca e il latte della medesima, è un qualcosa che non riusciamo neppure a raccontare.

A dirlo ora, non sembra esistito il tempo che si batteva il latte nella zangola – proprio quella che ci fa da porta ombrelli, adesso – e la superficie del latte si copriva di stelline gialle sempre più dense e numerose.

Bastava un cucchiaio di legno per raccoglierle e compattarle.

Il panetto di burro, ben giallo e non bianchiccio, stava poi immerso nell’acqua fresca in una tazza da caffelatte, nella stanza più a nord che faceva da dispensa.

Una croce dai bracci convessi disegnata in fretta, di taglio con un cucchiaio, ne decorava la sommità e suggellava qualche patto col Signore.

Si conservava a lungo e ce n’era sempre. Il suo trionfo arrivava con la merenda: assaporarlo crudo spalmato quasi senza parsimonia su una fetta di pane. Spolverato di zucchero.

Nessuna remora salutista a turbare il peccato di gola. Per non parlare del burro scaldato che fondeva in padella con alta schiuma e profusione, a grande distanza, di appetitoso profumo.

Un uovo al tegamino ne veniva ricoperto e delle bollicine rimaneva poi, sull’albume rappreso, un ricamo nocciola.

Lo stesso che disegna arabeschi sulle šnite, altro peccato che tutti abbiamo consumato e che, tacitando i sensi di colpa, ancora siamo disposti a commettere quando il languore da dolce ci assale durante un piatto pomeriggio.

Mentre il burro fondeva in una larga padella, alcune fette di pane raffermo venivano velocemente passate nel latte e nell’uovo sbattuto e, così grondanti, venivano messe a friggere.

Rigirate velocemente, ci mettevano poco ad assumere un aspetto variegato con sfumature e arabeschi dal giallo al marrone sulla crosticina che, appena tolte dalla frittura, veniva spolverizzata di zucchero.

Si mangiavano subito, fragranti e croccanti ma, se avanzavano, si mangiavano ben volentieri anche fredde e mollicce.